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martedì 31 luglio 2012

Salvare l'Italia: da dove cominciamo?

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Tagliare, tagliare! Questa è la parola d’ordine! Efficienza, decisionismo, autorevolezza. Non hanno bisogno di ascoltarci, “loro” sanno quel che va fatto. Ed è inutile protestare, scendere in piazza, scioperare. Non sentono, le orecchie sono cresciute a dismisura come quelle di Pinocchio e Lucignolo, si sono ricoperte di una folta peluria che ne ostacola l’udito. Un taglio netto, vogliono, una bonifica, una potatura. Questo va fatto! Un taglio netto alle scuole con meno di cinquanta alunni, alle università che non hanno che pochi iscritti, un taglio agli insegnanti…Oh, bella! Agli insegnanti! Furbo maschilismo linguistico! Qui si taglia il lavoro femminile, si tagliano le maestre, sono loro il 94.6 % del corpo insegnante! Corpo insegnante che invecchierà, mentre i giovani che aspirano ad entrare nel mondo della scuola rimarranno per molto tempo nelle sale d’aspetto delle graduatorie permanenti o nelle serre dei corsi di specializzazione. Fucine che li prepareranno ad una professione da svolgere dieci-quindici anni dopo, ormai opachi di entusiasmo e avviliti.
Ma “loro”, i giardinieri, sanno. Fidatevi. Bisogna tagliare, la pianta è malata, ha un morbo che si chiama “spreco”. Sono uno spreco le scuole dei piccoli comuni.
Bisturi, prego. Cesoia. Cancellino. Bianchetto.
Eppure…
Sono ancora “vive” le pagine di Gaetano Salvemini, di Quintino Sella, le inchieste sul Mezzogiorno promosse all’alba dell’unità d’Italia. Quelle che ci raccontavano di maestre che giungevano nel Sud e alloggiavano in scuole ricavate nei sassi a Matera, una stanza nella stessa scuola, un letto, un pentolino e qualche pezzo di gesso. E delle lezioni svolte nei treni, nelle stazioni, agli adulti che dovevano imparare a firmare, che dovevano raggiungere..l’America.
E’ proprio da lì, dalle scuole con meno di cinquanta alunni, che l’Italia ha combattuto e vinto la lotta all’analfabetismo. Quelle scuole che hanno rappresentato un pezzetto della nostra storia, che hanno dato accoglienza ai terremotati, le scuole del Cilento dove si facevano chilometri a piedi per raggiungerle, le scuole di campagna incastonate nel nulla di ciò che oggi invece definiamo “Offerte formative”, ma pregnanti di vita, di scambi e arricchimenti, di una dimensione comunitaria che gli istituti con cento, mille, duemila studenti non hanno la fortuna di riuscire a creare.
Una scuola che si chiude non è la potatura di un piccolo ramo. E’ una pagina di storia che si vuol cancellare, è una poesia richiusa in un cassetto e dimenticata, è una sconfitta laddove avevamo vinto.
Ma il giardiniere sa quello che fa. E allora dovrebbe sapere che un taglio sbagliato può danneggiare irrimediabilmente l’albero, che da quel momento potrà ammalarsi.
Ma sì, tagliamo sulle scuole, che sono il presente e il futuro dei nostri ragazzi. Per un’Italia più “asina”. Togliamo ai giovani ore di lezione, insegnanti, edifici, strumenti. Cominciamo da lì per salvare un’Italia in deficit. Cominciamo dalla scuola, dalla cultura, dai nostri figli…

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