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martedì 30 ottobre 2012

L'incipit di LASCIA CHE SIA

 

GIOCHI DI RAGAZZO: a bbotàmano e a bbotàncielo


Un cortile. Una radio in lontananza, la voce di Baglioni E tu. Anno 1974.

“Accoccolati ad ascoltare il mare, quanto tempo siamo stati senza fiatare… Seguire il tuo profilo con un dito mentre il vento accarezzava piano il tuo vestito… E tu fatta di sguardi tu…”

Il rumore di Castore che slurpa la ciotola vuota. L’odore del ragù per l’aria. I giochi di ragazzi. Ho sedici anni.
“Miche’, muovete!” chiamano gli amici gridando con le mani a imbuto accostate alla bocca.

“Eccomi…ho portato un attimo da mangiare al cane!” rispondo mentre scivolo sulla ringhiera.

“Avete i noccioli?”
“No.”
“Oi ma’, cala ‘o panaro, ce servono ‘e nozzole! Mammaaaaa!”

Dalla ringhiera del piccolo balcone, il paniere fa il suo ingresso traballando, mentre mia madre dipana il filo, sorridendo: “Solo mezz’ora, ragazzi, poi si mangia!”.


“Guagliù, sparamm ‘u tuocco!”
“Pe’ tte, pe’ tte, pe’ tte… uno roie e ttre!”
Tre mani in una conta. Io, Salvatore, Giovanni.
“Dieci!"
“Uno due tre quattro cinque sei sette otto nove.. e dieci!”
“Totore! Accummincia Totore. Tiecchete ‘e nozzòle ‘ri liberge!”
Gianni gli sgrana in mano cinque ossi di albicocca, Salvatore li chiude nel pugno. Ne lancia uno in aria e, prima che quello cada, tira gli altri quattro a terra. Sparsi. Raccatta poi un nocciolo per volta, sempre nel mentre lancia il primo in aria. Presi! Ora deve prenderne due per volta. Presi! Ora, tre. Ha sbagliato, non doveva sfiorarne altri.
“Tocca a Michele!”
Sì, spetta a me, ora, a bbòtamano e a bbòtancielo.
La folla si raduna attorno a noi. Pino, Luigi, Gerardo, Bernardo, Giulia. Interrompono ‘a mamma a zompà ‘ncuollo. Si accalcano per guardare. Sono il più bravo. Nel cortile è silenzio. Arrivo a prenderne tre. Poi quattro. Ora cinque; con cinque si fa il punteggio. Tiro tutti i noccioli in aria, li faccio atterrare sul dorso della mia mano: due cadono, tre restano:
“Tre punti, guagliù, so’ tre”.
 Ricomincio da uno, poi due…
“Aèè, ccà mo se ferma ‘u juoco…” si preoccupano.
Sono un mito, stravinco…

Più in là, fuori dall’antico forno, arrivano le voci dei giochi:
“Regina reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello con la fede, con l’anello e con la punta del coltello?”
Alfonsina, Rosaria, le mie sorelle Concetta e Filomena, mia cugina Teresa. Giocano anche loro. Giochi di femmine.

Matilde, è seduta sui gradoni di pietra, intesse i lunghi capelli di Anna in due belle trecce: la piccola intanto culla una bambola. Paola sta saltando con la corda.
Lucia e Gabriella invece stanno facendo conte, filastrocche e battimani con la giravolta:
“Mi chiamo Lola
E so’ spagnola
Io vado a scuola
Per imparare l’italiano
La mia mammina
È parigina
Il mio papino è della Cina
Cina Cina Cina
Questo è per me
Questo è per te
Gira la ruota e corna a te!”

“Michele, Mena, Tina è pronto!” chiama a gran voce mia madre dalla finestra.
Accarezzo il cane. Poi apro l’acqua della pompa, mi lavo le mani sudicie, mi metto a frizziare l’angolo del vecchio forno. E’ lì che è Castore, legato da una catena. Ha la bava alla bocca, fa caldo, riempio la ciotola d’acqua. Scodinzola felice.
Ha un anno, il mio cane. Lo trovai addormentato vicino all’immondizia. Aveva mangiato troppi avanzi! Era un cucciolo abbandonato, ma, a quanto pareva, assai sveglio. Color miele, le orecchie lunghe, il pelo folto; gli occhi, due olive nere. Guai a chi mi tocca Castore: è il mio amore!
Papà arriva con il cartoccio di dolci della pasticceria Assalonne: oggi è domenica!
Mena, Tina e il gruppo delle bambine hanno cambiato gioco.

 “Fornaio, è cotto il pane?”
“ Sì, ma è un po’ bruciato.
“ E chi l’ha bruciato?"
“ Alfonsina!”
“♪ E povera Alfonsina che va in catene, patisce le pene, le pene dell’amor! ♫
“E’ pronto! La pasta si fredda!” torna ad affacciarsi la mamma.

Saliamo, sudici e affamati. Io ho un mazzone di figurine Panini, le ho vinte al gioco dello scuoppo, sulle pietre del pozzo.

La masseria a Lavorate era bella davvero.
Il fiume ci passava vicino. Lì zio Pietro aveva piazzato un’altalena, fatta di un pezzo di legno legato a due funi attaccate al ramo del grosso pino.
Al centro del cortile c’era il pozzo. Sotto l’abitato di zia Carla, un forno ancora funzionante. Ci facevamo le pastiere di maccheroni, a Pasqua; il pane, la domenica.
Anticamente, c’era stato un solo bagno. Uno solo per tutte le cinque famiglie che abitavano lì. Era rimasta ancora quella scalinata esterna, in pietra di tufo, il muro coperto fino in cima da una vite americana mezza malata. Ora quel piccolo locale ci serviva per cantina. Mio padre conservava il vino nostro, quello nero e cafone: ‘u vinu tuosto, lo chiamava zia Carla. Quello fatto con la vendemmia di settembre: un evento che aspettavo sempre con ansia.

Sotto il mio abitato c’era invece il deposito della legna.
I balconi erano piccolissimi, giusto un’affacciata. Con ringhiere in ferro battuto: quando passava la Madonna non bastavano per tutti; noi ragazzi scendevamo giù in strada. A sparare le miccette. A vedere la banda.
Al centro del cortile enorme, giocavamo: ‘a mazza e pivezo; a spaccastrummolo, u sing’a bbarracca, t’alliscio e te foco, a strascia, a tappa, ‘o carruocciolo… Le femmine preferivano ‘a semmana, Madamadorè, palla avvelenata, palla prigioniera, a nnascovà, le belle statuine, il gioco del fazzoletto…
E’ qui che sono cresciuto. Gli eventi di oggi hanno aperto l’album dei ricordi…

domenica 28 ottobre 2012

UNA SERA DI GRAMAGLIE

Piove, una serata che ti costringe a stare in casa. ho letto il giornale EVENTI per intero (a proposito, c'è un articolo su di me e il mio libro), ho scritto un capitolo del mio nuovo romanzo, ho chattato abbondantemente, ho ascoltato musica, ho corretto il giornalino, cucinato i pizzoccheri della valtellina, fatto i biscotti allo zenzero, i servizi.... non so più che fare, mi annoio a morte. questo è un paese di noia infinita dove una come me è un aquilone che non trova il vento