Archivio blog

sabato 30 settembre 2017

Faccio ordine, rassetto #SF&P

Faccio ordine, rassetto la casa del mio cuore. Qui in libreria, il silenzio. Lì sul divano, la calma tra i cuscini. E sul tavolo stendo il velluto del mio perdono.
Sistemo i fiori della mia allegria nel vaso sul trespolo. Ripongo nel mobile le foto della malinconia.  Metto in lavastoviglie la gelosia. Questa maglia appena unta di rabbia, in lavatrice. Le parole di troppo spruzzo con lo smacchiatore, perché si sa quelle son macchie difficili da eliminare. Il cassetto della vendetta e del rancore è vuoto da sempre, e allora vi metto chili di gratitudine. Sistemo, con le pile dei panni da stirare, i miei propositi per il futuro. Ecco un calzino spaiato di amori a senso unico. Non è assolutamente da gettare; lo stendo al sole insieme agli abbracci negati. Nel cestone dei panni sporchi o usati ficco le critiche e le offese. Nel panierino della tombola due desideri mai avverati. Le bambole della mia infanzia felice colloco sulla credenza in salotto. Il pane appena sfornato, sulla madia in cucina. In frigo ripongo le delusioni cocenti; nell’armadio, i ricordi per l’inverno della mia vecchiaia perché mi tengano caldo. Butto nel water la mia finta saggezza e tiro lo scarico. Vanno nell’immondizia indifferenziata le cattiverie ricevute; nel cesto azzurro del riciclabile, gli amori di plastica; nell’umido, gli amori veri che nutrono la terra. Tra le pagine del mio diario infilo una ruga, una lacrima ed un capello bianco. Nel bymbi vanno le cose amare da rimescolare, fuori alla porta il mio nome da ricordare.
 Sotto il cuscino l’autoironia, per filtrare a fine giornata il mio vissuto. Nel forno metto a scaldare la mia armatura da guerriero di burro. Un po’ di essenza di speranza nei pourpourì. E al pianoforte, la mia anima nostalgica: suonami qualcosa!
Dopo la casa, è il momento di curare la padrona. Polvere azzurra di cielo e sogni sulle palpebre, e sulle labbra stendo la voglia di baci. Crema sulle mani che accarezzano la vita, talco rinfrescante sui piedi che cammineranno tanto. Profumo di seduzione spruzzo sul collo, anelli di vanità metto alle dita. E un fiore infilo tra i capelli a ricordarmi la mia femminilità.


Tra i cioccolatini nel portabonbon… la mia fantasia.

venerdì 15 settembre 2017

SCARABOCCHIO, parte II - Il microfono a Sonia Fiammetta #SFP

"FEDELE COMPLICITA'. Addio con brio."

Con la mano ancora salda alla maniglia, poggiavo la fronte sulla porta, le orecchie tese ad ascoltare il rumore dell’ascensore che ti portava via, gli occhi chiusi a ricordare il nostro lungo bacio di addio. Mi abbandonavo alla felicità, lasciandomela scorrere addosso come un dolce veleno. Sentivo nella mia bocca il sapore di te, di quell’ultimo bacio sull’uscio della nostra storia sottile.
Non ti ho chiesto mai quando… né se…saresti ritornato. Il tempo era per me un dettaglio stupido, inutile. Era importante mettere le essenze di fiori d’arancio nei pourpourì in salotto, quelle alla vaniglia in camera da letto, preparare tutte le musiche, i dettagli. Ma il tempo no. Non m‘importava. Ci dicevamo addio ogni volta. E ogni volta… ero felice.
Lentamente riaprivo gli occhi: tutto attorno a me era il palcoscenico di te.
Da smontare.
Con cura.
Con lo stesso amore dell’inizio.
Io, il falegname e lo scenografo.
Spegnevo lo stereo. Ciao, Chet Baker.
Avvolta nella magia di un silenzio ancora carico di noi, lentamente, svuotavo il vassoio della tua colazione. Tenevo tra le mani con estrema calma e lentezza la tua tazzina, guardavo il fondo del caffè che avevi lasciato: ci vedevo i tuoi lucidi occhi verdi assonnati. Bevevo l’ultimo sorso d’acqua dal tuo calice, come una ladra d’amore. Lavavo e posavo le tazzine del caffè e la caffettiera ancora bollente. Lavavo e asciugavo lentamente cucchiaini, piattini, bicchieri. La crepiera nella quale avevo saltato crepes improvvisate alle cinque e quaranta del mattino. E poi le tazze da tè: mi versavo nella tua ancora un po’ della mia tisana. Mela curcuma zenzero e cannella. Con il dito giravo lentamente intorno al filo d’oro della decorazione. Tu eri lì, in quei piccoli oggetti che mi erano serviti per allestire il palcoscenico di te. Eri nelle crepes che ti avevo improvvisato, o nello zucchero caduto dai cornetti, nell’odore delle mie tisane. Sì, ne avrei preso ancora un sorso.
Ora i servizi di porcellana erano al loro posto. Al loro posto i vassoi, le brocche, i miei sentimenti, la teiera, i piattini del dolce. Pulivo la tavola. I fornelli. Riponevo in credenza i biscotti, i cubetti di zenzero, le parole non dette, le emozioni di troppo, le mandorle.
E c’era ancora più amore nel riporre ogni cosa, nel riordinare ogni pezzo.
Ogni pezzo era una carezza. E ora erano tutte in fila. stipate nei mobiletti del cuore.
In camera, il letto era sfatto. Un frizzante venticello del mattino agitava lievemente le tende arancio, smuovendo nell’aria il mio profumo: non andavo a letto senza averne spruzzato due gocce dietro al collo e sul seno.  Io ... forse ero ancora lì. Lì c’era l’Anima che avevi amato.
Nello specchio dell’armadio guardavo i miei capelli sciolti e spettinati, il trucco un po’ squagliato, tanto da fare pendant col mio cuore di burro. Il babydoll di turno. Le gambe nude.
Ero la donna che avevi amato. Non la bambina che aspettavi. Ma una Donna. Troppi difetti, troppo imprevista. Non la ragazza con il velo da sposa. No. Solo un’anima nuda. E sola. Qualche lacrima, una ruga ed un capello bianco.
Dal cassetto, prendevo il mio quadernodellepiccolegioie. Annotavo con cura i pensieri, ciò che ci eravamo detti, i segreti che mi avevi confidato, le emozioni che mi si erano incollate sulla pelle.
Rifacevo il letto, portavo via la bottiglietta d’acqua dal tuo comodino, riponevo le tue ciabattine bianche. E… i nostri giochi segreti. Sìììì!! Un sorriso malizioso mi rallegrava il cuore e l’anima. Sentivo un giullare saltellarmi dentro. E giocolieri erano i ricordi che mi assalivano. I ricordi dei nostri giochi inventati come bolle di sapone.
Ogni volta mi lasciavi così. Innamorata fino al midollo. Felice nelle capriole dell’anima. Profumata di te. Sapevo che sarei rimasta in questo stato, inebetita, per qualche giorno. Prima di tornare alla mia vita. Alla mia vita densa e orientata, nella quale ti eri intrufolato zitto zitto, scivolando forse sotto la porta chiusa a chiave. Come un profumo.
“Gli incontri arrivano quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente”.
E tu dopo il nostro incontro, eri nato. Ti avevo visto felice e nuovo, che mi cercavi, che ti facevi chilometri di stanchezza per venire.
Ma ora volevi morire ancora. Mi chiedevi il veleno. E io ti spalancavo la porta, ti davo la rivoltella, il pugnale, la cicuta. Vai. Vola, Anima. Addio con brio.
Ma ora eri lì, ero lì. La stanza sapeva di noi.
Mi accoccolavo adagio sotto le lenzuola.

E riprendevo... ad amarti.

sabato 2 settembre 2017

SCARABOCCHIO - Il microfono all'uomo #SFP








Nella lista mentale dei miei progetti di uomo cadesti come una goccia d’inchiostro, a incunearti tra gli elenchi delle priorità. Imprevista. Eterea e allo stesso tempo ingombrante. Lontana ma vicina. Inafferrabile ma presente. Piccola ma grande. Un simpatico scarabocchio.
La vita è ciò che ti accade mentre sei occupato a progettare altro, riflettei senza rassegnazione alcuna.
Arrivasti nella casa della mia anima quando le tende erano chiuse, le finestre serrate, i portoni sbarrati. Da dove fossi entrata Dio solo lo sa.
Tutto era immobile, nella casa della mia anima. Fermo a un conto in sospeso. “Chi sa guardare la tua anima merita un posto nel tuo cuore”: questa la consegna su cui dovevo riflettere. Imparare senza opporre più resistenze. Mai più.
Mi tirasti via con dolcezza, prendendomi la mano. Costruisti per me un palcoscenico immenso, spettatrice sognante e innamorata, regista precisa e creativa.
Al mio arrivo, stendevi manti di profumi, sceglievi accuratamente le musiche, accendevi le candele sulla tavola imbandita del tuo corpo gustoso, dei tuoi cibi che caldi estraevi dal forno. Per me.
Ogni cosa era al suo posto, nella casa della tua anima: collocavi accanto al metronomo i miei tempi lenti, lì la poesia, sul divano la capacità di ascolto, in quell’angolo l’amicizia, laggiù in fondo alla stanza una montagna di silenzio, nello stanzino proibito la fantasia, sul trespolo in ferro le mie tovaglie da bagno arrotolate con cura, accanto all'armadio le mie ciabattine bianche, sul comodino la bottiglia d'acqua per la notte, nei tuoi palmi aperti la libertà, nel bicchiere la seduzione. E seducente eri, con le tue trovate insolite, ogni volta una e più.
Imboccavi la mia anima anoressica come una rondine con i suoi rondinotti. Eri un nido. Rammendavi i miei abiti sdruciti – di chi ha sofferto – con fili colorati e resistenti. Con le tue piccole mani d’amore lisciavi la mia pelle, assetata di affetto e perdono, come un mare in tempesta su cui riportavi la calma. Massaggiavi con creme il cammino polveroso dei miei piedi stanchi.
E se mi chiudevo nei silenzi, ti mettevi seduta lì sul baratro, le gambe penzoloni, ad aspettarmi in eterno, conscia che già solo provare a infrangerli significava caderci dentro, in quel burrone buio. Eri diventata ormai esperta.
 La tua camera era la stanza dei giochi. Io e te due bambini complici e instancabili. Sapevi giocare persino con i mostri che mi abitano dentro. Ci mangiavamo come serpenti. L’uno di fronte all’altra svuotavamo l’anima dai segreti: monete preziose che spargevamo sul letto da un cuore borsellino. Tu raccattavi i pezzi che io lasciavo cadere come mai avevo fatto con nessuno. Pezzetti di carta che la tua mano di scrittrice ricuciva. Briciole di Pollicino alla luna, per ritrovare la strada che conduceva alla mia anima.
 Le tue parole TI AMO tagliavano la crosta del mio cuore: respirava!
 Ero intero con te. Ma vulnerabile. Facevo resistenza alla mia consegna, come un ragazzo che non capisce un'equazione. Tu non eri prevista. Eri venuta nella mia vita per insegnarmi ciò che non volevo imparare! Eri una goccia d’inchiostro a imbrattare il promemoria che con cura avevo stilato. A coprire le mie certezze. Da dove fossi entrata Dio solo lo sa.
I nostri corpi carichi di benessere si lasciavano andare a un sonno ristoratore, cullati dalle note del jazz. Ma non sono convinto che tu dormissi. Sentivo su di me la tua attenzione costante, eri LA CURA di Battiato. Una luce che non si spegneva mai.
Al mattino ti offrivi al mio sguardo di uomo in tutta la tua naturale bellezza: spettinata, ancora nuda, il trucco sciolto come una Pierrottina, i grandi occhi verdi carichi di passato ma anche di sogni. Le tue lingerie inventate sparse per la stanza. Il tuo profumo indelebile sul mio corpo. Quanto donna eri!
-          Sono bella?
-          Sì, sei molto bella.
Allora il tuo naso sbarazzino volava in alto con un sorriso felice. Eri felice. Felice di me. Un cestino di frutti bellissimi: gioia, creatività, dolcezza, premura.
Il profumo del forno solleticava le mie narici: avevi cotto i cornetti, fatto il caffè e le tue memorabili tisane, allineato nei vassoi della colazione i tuoi sentimenti in mezzo ai biscotti e allo zenzero.

Il bacio sulla porta coi tuoi seni premuti sul mio cuore, il tuo sorriso pieno, il tuo profumo di donna. Lasciavo la casa dell’amore, il nido, l’accoglienza. Tornavo come sempre alla mia libertà. Il tuo regalo.