"FEDELE COMPLICITA'. Addio con brio."
Con la mano ancora salda alla maniglia, poggiavo la fronte sulla porta, le orecchie tese ad ascoltare il
rumore dell’ascensore che ti portava via, gli occhi chiusi a ricordare
il nostro lungo bacio di addio. Mi abbandonavo alla felicità, lasciandomela
scorrere addosso come un dolce veleno. Sentivo nella mia bocca il sapore di te,
di quell’ultimo bacio sull’uscio della nostra storia sottile.
Non ti ho chiesto mai quando… né se…saresti
ritornato. Il tempo era per me un dettaglio stupido, inutile. Era importante
mettere le essenze di fiori d’arancio nei pourpourì in salotto, quelle alla
vaniglia in camera da letto, preparare tutte le musiche, i dettagli. Ma il
tempo no. Non m‘importava. Ci dicevamo addio ogni volta. E ogni volta… ero
felice.
Lentamente riaprivo gli
occhi: tutto attorno a me era il palcoscenico di te.
Da smontare.
Con cura.
Con lo stesso amore
dell’inizio.
Io, il falegname e lo
scenografo.
Spegnevo lo stereo. Ciao,
Chet Baker.
Avvolta nella magia di un silenzio ancora carico di noi, lentamente, svuotavo il
vassoio della tua colazione. Tenevo tra le mani con estrema calma e lentezza la
tua tazzina, guardavo il fondo del caffè che avevi lasciato: ci vedevo i tuoi
lucidi occhi verdi assonnati. Bevevo l’ultimo sorso d’acqua dal tuo calice,
come una ladra d’amore. Lavavo e posavo le tazzine del caffè e la caffettiera
ancora bollente. Lavavo e asciugavo lentamente cucchiaini, piattini, bicchieri. La
crepiera nella quale avevo saltato crepes improvvisate alle cinque e quaranta
del mattino. E poi le tazze da tè: mi versavo nella tua ancora un po’ della mia
tisana. Mela curcuma zenzero e cannella. Con il dito giravo lentamente intorno
al filo d’oro della decorazione. Tu eri lì, in quei piccoli oggetti che mi
erano serviti per allestire il palcoscenico di te. Eri nelle crepes che ti
avevo improvvisato, o nello zucchero caduto dai cornetti, nell’odore delle mie
tisane. Sì, ne avrei preso ancora un sorso.
Ora i servizi di
porcellana erano al loro posto. Al loro posto i vassoi, le brocche, i miei
sentimenti, la teiera, i piattini del dolce. Pulivo la tavola. I fornelli. Riponevo
in credenza i biscotti, i cubetti di zenzero, le parole non dette, le emozioni
di troppo, le mandorle.
E c’era ancora più
amore nel riporre ogni cosa, nel riordinare ogni pezzo.
Ogni pezzo era una
carezza. E ora erano tutte in fila. stipate nei mobiletti del cuore.
In camera, il letto era
sfatto. Un frizzante venticello del mattino agitava lievemente le tende arancio,
smuovendo nell’aria il mio profumo: non andavo a letto senza averne spruzzato due
gocce dietro al collo e sul seno. Io ... forse ero
ancora lì. Lì c’era l’Anima che avevi amato.
Nello specchio dell’armadio
guardavo i miei capelli sciolti e spettinati, il trucco un po’ squagliato,
tanto da fare pendant col mio cuore di burro. Il babydoll di turno. Le gambe
nude.
Ero la donna che avevi
amato. Non la bambina che aspettavi. Ma una Donna. Troppi difetti, troppo
imprevista. Non la ragazza con il velo da sposa. No. Solo un’anima nuda. E sola. Qualche lacrima, una ruga ed un capello bianco.
Dal cassetto, prendevo
il mio quadernodellepiccolegioie. Annotavo
con cura i pensieri, ciò che ci eravamo detti, i segreti che mi avevi confidato,
le emozioni che mi si erano incollate sulla pelle.
Rifacevo il letto,
portavo via la bottiglietta d’acqua dal tuo comodino, riponevo le tue
ciabattine bianche. E… i nostri giochi segreti. Sìììì!! Un sorriso malizioso mi
rallegrava il cuore e l’anima. Sentivo un giullare saltellarmi dentro. E giocolieri
erano i ricordi che mi assalivano. I ricordi dei nostri giochi inventati come
bolle di sapone.
Ogni volta mi lasciavi
così. Innamorata fino al midollo. Felice nelle capriole dell’anima. Profumata di
te. Sapevo che sarei rimasta in questo stato, inebetita, per qualche giorno. Prima
di tornare alla mia vita. Alla mia vita densa e orientata, nella quale ti eri
intrufolato zitto zitto, scivolando forse sotto la porta chiusa a chiave. Come un
profumo.
“Gli incontri arrivano
quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere
emotivamente”.
E tu dopo il nostro
incontro, eri nato. Ti avevo visto felice e nuovo, che mi cercavi, che ti facevi
chilometri di stanchezza per venire.
Ma ora volevi morire ancora. Mi chiedevi il
veleno. E io ti spalancavo la porta, ti davo la rivoltella, il pugnale, la
cicuta. Vai. Vola, Anima. Addio con brio.
Ma ora eri lì, ero lì. La
stanza sapeva di noi.
Mi accoccolavo adagio
sotto le lenzuola.
E riprendevo... ad amarti.