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venerdì 15 settembre 2017

SCARABOCCHIO, parte II - Il microfono a Sonia Fiammetta #SFP

"FEDELE COMPLICITA'. Addio con brio."

Con la mano ancora salda alla maniglia, poggiavo la fronte sulla porta, le orecchie tese ad ascoltare il rumore dell’ascensore che ti portava via, gli occhi chiusi a ricordare il nostro lungo bacio di addio. Mi abbandonavo alla felicità, lasciandomela scorrere addosso come un dolce veleno. Sentivo nella mia bocca il sapore di te, di quell’ultimo bacio sull’uscio della nostra storia sottile.
Non ti ho chiesto mai quando… né se…saresti ritornato. Il tempo era per me un dettaglio stupido, inutile. Era importante mettere le essenze di fiori d’arancio nei pourpourì in salotto, quelle alla vaniglia in camera da letto, preparare tutte le musiche, i dettagli. Ma il tempo no. Non m‘importava. Ci dicevamo addio ogni volta. E ogni volta… ero felice.
Lentamente riaprivo gli occhi: tutto attorno a me era il palcoscenico di te.
Da smontare.
Con cura.
Con lo stesso amore dell’inizio.
Io, il falegname e lo scenografo.
Spegnevo lo stereo. Ciao, Chet Baker.
Avvolta nella magia di un silenzio ancora carico di noi, lentamente, svuotavo il vassoio della tua colazione. Tenevo tra le mani con estrema calma e lentezza la tua tazzina, guardavo il fondo del caffè che avevi lasciato: ci vedevo i tuoi lucidi occhi verdi assonnati. Bevevo l’ultimo sorso d’acqua dal tuo calice, come una ladra d’amore. Lavavo e posavo le tazzine del caffè e la caffettiera ancora bollente. Lavavo e asciugavo lentamente cucchiaini, piattini, bicchieri. La crepiera nella quale avevo saltato crepes improvvisate alle cinque e quaranta del mattino. E poi le tazze da tè: mi versavo nella tua ancora un po’ della mia tisana. Mela curcuma zenzero e cannella. Con il dito giravo lentamente intorno al filo d’oro della decorazione. Tu eri lì, in quei piccoli oggetti che mi erano serviti per allestire il palcoscenico di te. Eri nelle crepes che ti avevo improvvisato, o nello zucchero caduto dai cornetti, nell’odore delle mie tisane. Sì, ne avrei preso ancora un sorso.
Ora i servizi di porcellana erano al loro posto. Al loro posto i vassoi, le brocche, i miei sentimenti, la teiera, i piattini del dolce. Pulivo la tavola. I fornelli. Riponevo in credenza i biscotti, i cubetti di zenzero, le parole non dette, le emozioni di troppo, le mandorle.
E c’era ancora più amore nel riporre ogni cosa, nel riordinare ogni pezzo.
Ogni pezzo era una carezza. E ora erano tutte in fila. stipate nei mobiletti del cuore.
In camera, il letto era sfatto. Un frizzante venticello del mattino agitava lievemente le tende arancio, smuovendo nell’aria il mio profumo: non andavo a letto senza averne spruzzato due gocce dietro al collo e sul seno.  Io ... forse ero ancora lì. Lì c’era l’Anima che avevi amato.
Nello specchio dell’armadio guardavo i miei capelli sciolti e spettinati, il trucco un po’ squagliato, tanto da fare pendant col mio cuore di burro. Il babydoll di turno. Le gambe nude.
Ero la donna che avevi amato. Non la bambina che aspettavi. Ma una Donna. Troppi difetti, troppo imprevista. Non la ragazza con il velo da sposa. No. Solo un’anima nuda. E sola. Qualche lacrima, una ruga ed un capello bianco.
Dal cassetto, prendevo il mio quadernodellepiccolegioie. Annotavo con cura i pensieri, ciò che ci eravamo detti, i segreti che mi avevi confidato, le emozioni che mi si erano incollate sulla pelle.
Rifacevo il letto, portavo via la bottiglietta d’acqua dal tuo comodino, riponevo le tue ciabattine bianche. E… i nostri giochi segreti. Sìììì!! Un sorriso malizioso mi rallegrava il cuore e l’anima. Sentivo un giullare saltellarmi dentro. E giocolieri erano i ricordi che mi assalivano. I ricordi dei nostri giochi inventati come bolle di sapone.
Ogni volta mi lasciavi così. Innamorata fino al midollo. Felice nelle capriole dell’anima. Profumata di te. Sapevo che sarei rimasta in questo stato, inebetita, per qualche giorno. Prima di tornare alla mia vita. Alla mia vita densa e orientata, nella quale ti eri intrufolato zitto zitto, scivolando forse sotto la porta chiusa a chiave. Come un profumo.
“Gli incontri arrivano quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente”.
E tu dopo il nostro incontro, eri nato. Ti avevo visto felice e nuovo, che mi cercavi, che ti facevi chilometri di stanchezza per venire.
Ma ora volevi morire ancora. Mi chiedevi il veleno. E io ti spalancavo la porta, ti davo la rivoltella, il pugnale, la cicuta. Vai. Vola, Anima. Addio con brio.
Ma ora eri lì, ero lì. La stanza sapeva di noi.
Mi accoccolavo adagio sotto le lenzuola.

E riprendevo... ad amarti.

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