Nella lista mentale dei miei
progetti di uomo cadesti come una goccia d’inchiostro, a incunearti tra gli
elenchi delle priorità. Imprevista. Eterea e allo stesso tempo ingombrante. Lontana
ma vicina. Inafferrabile ma presente. Piccola ma grande. Un simpatico
scarabocchio.
La vita è ciò che ti accade
mentre sei occupato a progettare altro, riflettei senza rassegnazione alcuna.
Arrivasti nella casa della mia
anima quando le tende erano chiuse, le finestre serrate, i portoni sbarrati. Da
dove fossi entrata Dio solo lo sa.
Tutto era immobile, nella casa
della mia anima. Fermo a un conto in sospeso. “Chi sa guardare la tua anima
merita un posto nel tuo cuore”: questa la consegna su cui dovevo riflettere.
Imparare senza opporre più resistenze. Mai più.
Mi tirasti via con dolcezza,
prendendomi la mano. Costruisti per me un palcoscenico immenso, spettatrice
sognante e innamorata, regista precisa e creativa.
Al mio arrivo, stendevi manti di
profumi, sceglievi accuratamente le musiche, accendevi le candele sulla tavola
imbandita del tuo corpo gustoso, dei tuoi cibi che caldi estraevi dal forno. Per
me.
Ogni cosa era al suo posto, nella
casa della tua anima: collocavi accanto al metronomo i miei tempi lenti, lì la poesia, sul divano la capacità di ascolto, in quell’angolo
l’amicizia, laggiù in fondo alla stanza una montagna di silenzio, nello stanzino proibito la fantasia, sul trespolo in ferro le mie tovaglie da bagno arrotolate con cura, accanto all'armadio le mie ciabattine bianche, sul comodino la bottiglia d'acqua per la notte, nei tuoi
palmi aperti la libertà, nel bicchiere la seduzione. E seducente eri, con le
tue trovate insolite, ogni volta una e più.
Imboccavi la mia anima anoressica
come una rondine con i suoi rondinotti. Eri un nido. Rammendavi i miei abiti
sdruciti – di chi ha sofferto – con fili colorati e resistenti. Con le tue
piccole mani d’amore lisciavi la mia pelle, assetata di affetto e perdono, come
un mare in tempesta su cui riportavi la calma. Massaggiavi con creme il cammino
polveroso dei miei piedi stanchi.
E se mi chiudevo nei silenzi, ti mettevi seduta lì sul baratro, le gambe penzoloni, ad aspettarmi in eterno, conscia che già solo provare a infrangerli significava caderci dentro, in quel burrone buio. Eri diventata ormai esperta.
E se mi chiudevo nei silenzi, ti mettevi seduta lì sul baratro, le gambe penzoloni, ad aspettarmi in eterno, conscia che già solo provare a infrangerli significava caderci dentro, in quel burrone buio. Eri diventata ormai esperta.
La tua camera era la stanza dei giochi. Io e
te due bambini complici e instancabili. Sapevi giocare persino con i mostri che mi abitano dentro. Ci mangiavamo come serpenti. L’uno di
fronte all’altra svuotavamo l’anima dai segreti: monete preziose che spargevamo
sul letto da un cuore borsellino. Tu raccattavi i pezzi che io lasciavo cadere
come mai avevo fatto con nessuno. Pezzetti di carta che la tua mano di
scrittrice ricuciva. Briciole di Pollicino alla luna, per ritrovare la strada
che conduceva alla mia anima.
Le tue parole TI AMO tagliavano la crosta del
mio cuore: respirava!
Ero intero con te. Ma vulnerabile. Facevo
resistenza alla mia consegna, come un ragazzo che non capisce un'equazione. Tu non eri prevista. Eri venuta nella mia vita per insegnarmi ciò che non volevo imparare! Eri una goccia d’inchiostro a imbrattare il promemoria
che con cura avevo stilato. A coprire le mie certezze. Da dove fossi entrata
Dio solo lo sa.
I nostri corpi carichi di
benessere si lasciavano andare a un sonno ristoratore, cullati dalle note del jazz. Ma non sono convinto che
tu dormissi. Sentivo su di me la tua attenzione costante, eri LA CURA di
Battiato. Una luce che non si spegneva mai.
Al mattino ti offrivi al mio
sguardo di uomo in tutta la tua naturale bellezza: spettinata, ancora nuda, il
trucco sciolto come una Pierrottina, i grandi occhi verdi carichi di passato ma anche di sogni. Le tue lingerie inventate sparse per la
stanza. Il tuo profumo indelebile sul mio corpo. Quanto donna eri!
-
Sono bella?
-
Sì, sei molto bella.
Allora il tuo naso sbarazzino
volava in alto con un sorriso felice. Eri felice. Felice di me. Un cestino di
frutti bellissimi: gioia, creatività, dolcezza, premura.
Il profumo del forno solleticava
le mie narici: avevi cotto i cornetti, fatto il caffè e le tue memorabili tisane,
allineato nei vassoi della colazione i tuoi sentimenti in mezzo ai biscotti e allo zenzero.
Il bacio sulla porta coi tuoi
seni premuti sul mio cuore, il tuo sorriso pieno, il tuo profumo di donna. Lasciavo
la casa dell’amore, il nido, l’accoglienza. Tornavo come sempre alla mia libertà. Il tuo
regalo.
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