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martedì 31 luglio 2012

Giornalismo scolastico: l'arma delle nostre idee e la quarta competenza


Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto: è quanto mi hanno dato al posto di un fucile. (P.Path, “Operazione Shilock”).
La parola è uno strumento dalle potenzialità infinite, un’arma. Insegnare ai ragazzi a comunicare le proprie idee rafforza la loro identità, li rende più consapevoli delle proprie qualità interiori e, soprattutto, salvaguarda la loro coscienza critica dalla dilagante massificazione. Per questo è importante investire energie e impegno nel giornalismo scolastico, offrendo ai ragazzi uno spazio di espressione delle loro idee. E, magari, chiedere il supporto di un esperto esterno, aprendo così le porte al mondo dei giornalisti professionisti, il cui aiuto è indispensabile per offrire un patrimonio di know how, sia sotto il profilo giuridico organizzativo che sotto quello dei contenuti e della loro attualità. Il giornalismo diventa così, non solo un laboratorio di scrittura, ma una palestra aperta al confronto, una lente d’ingrandimento sul mondo intorno a noi e, soprattutto, uno strumento costruttivo e complementare ai mezzi didattici tradizionali, utile a rompere quella specie di isolamento in cui si ritrova la scuola. Sì, perché, in questo che è il secolo dei media, la scuola ha un nuovo compito: insegnare la quarta competenza, dopo il leggere, scrivere e far di conto: quella mediatica. Se infatti la scuola si volge al passato privilegiando i testi scritti, i media – che collocano i giovani nell’agorà del vivere sociale e democratico - si rivolgono invece all’attualità e utilizzano forme nuove di comunicazione. Essi possono, dunque, essere considerati uno strumento della didattica. Conoscere i media e il loro corretto uso oggi dovrebbe essere un dovere, una necessità e un diritto per tutti. Purtroppo, constatiamo che esistono nuove povertà, ci sono inforicchi e infopoveri. Alla scuola, dunque, il compito di attenuare queste differenze, garantendo un minimo di conoscenza di questi mezzi (specie internet e il quotidiano, saldamente connessi) dal potere espressivo illimitato. Ma il giornalismo scolastico ha ancora altri pregi. Esso può rappresentare un viaggio di scoperta del nostro territorio, dei suoi luoghi, dei suoi punti di forza. I ragazzi, al sapere “confezionato” dei pur necessari manuali scolastici, possono aggiungere un sapere “costruito” da loro e frutto della collaborazione di un intero gruppo. Un’esperienza fondante, a mio avviso. E che sottolinea l’importanza di valorizzare il rapporto scuola-mondo esterno. L’apprendimento allora diventa coinvolgente, un momento che attiva la capacità di provare emozioni: è la parte affettiva dell’apprendimento. Mettendo da parte ogni eccesso di rigore - inopportuno per questa età - si può spronare l' entusiasmo dei baby-giornalisti, la loro curiosità verso temi anche semplici, e provare a far sì che il giornalino sia il vero specchio dell’ animo dei ragazzi; si può riprovare a “e-ducare”, che dovrebbe essere l’essenza del nostro lavoro.
Inoltre, suscitare nei ragazzi curiosità, piacere di osservare, amore verso il proprio paese serve a gratificare anche noi e a rafforzare motivazione e passione educativa, così necessarie per continuare serenamente in quella che è la più difficile ma incantevole delle professioni.

Salvare l'Italia: da dove cominciamo?

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Tagliare, tagliare! Questa è la parola d’ordine! Efficienza, decisionismo, autorevolezza. Non hanno bisogno di ascoltarci, “loro” sanno quel che va fatto. Ed è inutile protestare, scendere in piazza, scioperare. Non sentono, le orecchie sono cresciute a dismisura come quelle di Pinocchio e Lucignolo, si sono ricoperte di una folta peluria che ne ostacola l’udito. Un taglio netto, vogliono, una bonifica, una potatura. Questo va fatto! Un taglio netto alle scuole con meno di cinquanta alunni, alle università che non hanno che pochi iscritti, un taglio agli insegnanti…Oh, bella! Agli insegnanti! Furbo maschilismo linguistico! Qui si taglia il lavoro femminile, si tagliano le maestre, sono loro il 94.6 % del corpo insegnante! Corpo insegnante che invecchierà, mentre i giovani che aspirano ad entrare nel mondo della scuola rimarranno per molto tempo nelle sale d’aspetto delle graduatorie permanenti o nelle serre dei corsi di specializzazione. Fucine che li prepareranno ad una professione da svolgere dieci-quindici anni dopo, ormai opachi di entusiasmo e avviliti.
Ma “loro”, i giardinieri, sanno. Fidatevi. Bisogna tagliare, la pianta è malata, ha un morbo che si chiama “spreco”. Sono uno spreco le scuole dei piccoli comuni.
Bisturi, prego. Cesoia. Cancellino. Bianchetto.
Eppure…
Sono ancora “vive” le pagine di Gaetano Salvemini, di Quintino Sella, le inchieste sul Mezzogiorno promosse all’alba dell’unità d’Italia. Quelle che ci raccontavano di maestre che giungevano nel Sud e alloggiavano in scuole ricavate nei sassi a Matera, una stanza nella stessa scuola, un letto, un pentolino e qualche pezzo di gesso. E delle lezioni svolte nei treni, nelle stazioni, agli adulti che dovevano imparare a firmare, che dovevano raggiungere..l’America.
E’ proprio da lì, dalle scuole con meno di cinquanta alunni, che l’Italia ha combattuto e vinto la lotta all’analfabetismo. Quelle scuole che hanno rappresentato un pezzetto della nostra storia, che hanno dato accoglienza ai terremotati, le scuole del Cilento dove si facevano chilometri a piedi per raggiungerle, le scuole di campagna incastonate nel nulla di ciò che oggi invece definiamo “Offerte formative”, ma pregnanti di vita, di scambi e arricchimenti, di una dimensione comunitaria che gli istituti con cento, mille, duemila studenti non hanno la fortuna di riuscire a creare.
Una scuola che si chiude non è la potatura di un piccolo ramo. E’ una pagina di storia che si vuol cancellare, è una poesia richiusa in un cassetto e dimenticata, è una sconfitta laddove avevamo vinto.
Ma il giardiniere sa quello che fa. E allora dovrebbe sapere che un taglio sbagliato può danneggiare irrimediabilmente l’albero, che da quel momento potrà ammalarsi.
Ma sì, tagliamo sulle scuole, che sono il presente e il futuro dei nostri ragazzi. Per un’Italia più “asina”. Togliamo ai giovani ore di lezione, insegnanti, edifici, strumenti. Cominciamo da lì per salvare un’Italia in deficit. Cominciamo dalla scuola, dalla cultura, dai nostri figli…

Progetto di SCRITTURA CREATIVA: i colori del cuore

mer 11 mag alle 19.30 - visite 1.338



Scrittura creativa di qua, scrittura creativa di là…sembra quasi una moda. Ma perché tanto interesse verso questa forma di espressione? E cos’è la scrittura creativa?
Beh, noi riteniamo che saper inventare e saper tradurre la propria invenzione in parole, saper usare il linguaggio, saper raccontare siano facoltà importanti da sviluppare, oltre che un tesoro da spendere nella vita. Crediamo nell’ importanza di offrire ai ragazzi occasioni idonee per esprimere il sé.
E farlo in modo assolutamente giocoso e libero, seguendo la regola dell’”imparare giocando”. Il contesto entro il quale i nostri allievi si sono mossi è stato, infatti, quello della piena libertà di esprimersi. Il corso ci è parso un’occasione unica per aiutare ogni ragazzo a scoprire e valorizzare le proprie specifiche potenzialità, ma soprattutto è servito a socializzare e comunicare in maniera creativa, impastando storie a quattro mani, a sei, a otto..sorridendo, poi, sorpresi, dei risultati ottenuti. E che risultati!
Ma cos’è, precisamente, la scrittura creativa?
Sostanzialmente, essa è una forma di espressione che parte dal mondo reale, per poi varcare la soglia di quello immaginario e spingersi fin nel profondo delle proprie emozioni, ridestando talenti sopiti che non attendono altro che di essere stimolati, portati alla luce. Scrivere creativamente perciò fa stare bene. Farlo poi insieme agli altri, condividendo col gruppo il proprio mondo, l’immaginifico o il reale, è ancora più bello. Al centro del processo ci sono i cinque sensi che esplorano emozioni. La scrittura creativa è dunque scrittura emozionale, rapisce, seduce, e sa creare un rapporto empatico con chi legge; la mente si apre, si rompono gli schemi, si osserva il mondo con occhi diversi.
Nella scrittura creativa c’è un continuo alternarsi di fasi di divergenza e fasi di convergenza: descrizioni, ambienti, dialoghi scaturiscono da questo processo. Nelle fasi di divergenza, la mente è libera di volare spaziando in nuovi mondi, mondi fantastici, dove tutto è possibile. E’ lì che nascono le idee e i colori per le nostre storie, non importa se esse siano storie reali,fantastiche, o bizzarre. Dopo aver fatto il pieno di idee, entriamo nella fase della convergenza: è il momento di scegliere la strada da dare alla nostra storia.
La scrittura creativa segue le regole della scrittura tradizionale, anzi quello è il punto di partenza. Ma poi essa va oltre. Qual è il punto di arrivo? Beh, solo la nostra immaginazione lo deciderà, e lo colorerà coi colori del cuore.

Sonia D'Alessio
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WEB WRITING: L'ULTIMA FRONTIERA DELLA COMUNICAZIONE

Nonostante sul web imperino la grafica e la diffusione di servizi multimediali, la scrittura rimane ancora oggi la forma preferita di comunicazione e il principale strumento per entrare in contatto con i navigatori. Si tranquillizzino, dunque, quanti temevano che il www potesse diventare un clone della TV perché, nonostante la massiccia presenza di audio e video, la comunicazione è rimasta ancora prevalentemente scritta. Poiché, però, la lettura sul web segue regole tutte sue e percorsi non lineari, la scrittura si deve adattare. E si è adattata. Essa, infatti, sul web appare profondamente diversa da quella appresa a scuola: è iper-scrittura. Allo scorrimento orizzontale proprio della scrittura normale, la web writing predilige uno verticale, a uno sviluppo piano uno profondo. L’esempio più chiarificatore è quello dell’iperlink; esso consente di abbandonare l’andamento obbligato sinistra-destra (tipico della nostra cultura) per scegliere nuove possibilità di lettura: la grafica fa sì che le parole diventino link e dunque nuove porte di accesso ad altri testi,o a video, fotografie, grafici eccetera. Il cambiamento della scrittura genera un conseguente adeguamento della lettura: più veloce, cursoria, visiva, meno analitica, più saltellante da un elemento all’altro, soggetta a improvvise distrazioni, siano esse temporanee o definitive. Detto questo, è chiaro che bisogna organizzare la web writing nel modo migliore per sposarla alla web reading. Bisogna, innanzitutto, essere sintetici ed esaustivi, perché più si prolunga il tempo di lettura più questa può essere soggetta a distrazioni. Testi e grafica (immagini, fotografie, scelte grafiche in senso stretto) dovrebbero bilanciarsi tra loro e rendere piacevole, veloce, leggera la lettura. Infine, ricordiamo che la correttezza e l’eleganza formale continuano ad espletare la loro funzione anche sul web, cioè quella di suscitare nel lettore impressioni positive: un testo ben scritto si fa apprezzare anche sul www.



LA SCUOLA CHE LEGGE IL TERRITORIO

...studia la città dove vivi; se domani tu ne fossi sbalestrato lontano, saresti lieto di averla presente bene alla memoria, di poterla ripercorrere tutta col pensiero, - la tua città ,- (la tua piccola patria) quella che è stata per tanti anni il tuo mondo, - dove hai fatto i primi passi al fianco di tua madre, provato le prime commozioni, aperto la mente alle prime idee, trovato i primi amici. Essa è stata una madre per te (t’ha istruito, dilettato, protetto). Studiala nelle sue strade e nella sua gente ,- ed amala ,- e quando la senti ingiuriare, difendila. ( “La strada”, da “Cuore” di E. De Amicis)

Nulla dovrebbe essere più vicino alla città che la sua scuola. Eppure oggi a scuola si parla poco della città, oppure lo si fa in maniera frammentaria, con discorsi scontati e noiosi, ponendo spesso attenzione solo agli aspetti negativi della realtà locale. Si parla comunque sempre del presente della città, senza appassionarsi al suo futuro. Se ne descrive il perdurante declino ma non si indicano i contorni della città del futuro e soprattutto non si forniscono ai giovani strumenti per itinerari di sviluppo. L’obiettivo più importante del Progetto di giornalismo svolto nelle scuole medie deve essere allora quello di stabilire un legame concreto fra i giovani ed il loro territorio, per farne scoprire e documentare i punti di forza ed anche le debolezze; per consentire ai discenti, attraverso l’osservazione diretta, di sviluppare intelligenze critiche, capacità di lettura e comprensione di fenomeni complessi, e di conseguenza volontà positive di denunciare disagi ambientali e sociali. Si devono rafforzareì gli elementi sui quali fondare l’impegno civile, quell’impegno civile indispensabile a ragazzi che diventeranno cittadini e che, lo speriamo, ameranno la loro città e se ne prenderanno cura. Di giornali e giornalini scolastici ce ne sono sempre stati tanti, è certo però che l’uso del computer e l’autonomia scolastica ne hanno incentivato la diffusione: il primo perché ha reso più facile la “confezione” del giornale, la seconda perché ha favorito l’attribuzione dei necessari sostegni economici. Il fenomeno è quindi in crescita, ed i buoni risultati non possono che incoraggiarlo ulteriormente, e a buona ragione, perché il giornale, e soprattutto fare un giornale, rappresentano un utilissimo strumento di partecipazione e di aggregazione, consentono di percepire e conoscere opinioni ed umori, e di entrare da protagonisti nella realtà sociale e culturale del territorio
Sonia D'Alessio


(Editoriale giornale scolastico 2006. Nelle foto, Sonia D'alessio con Patrizia Sereno, esperto esterno del Progetto Giornalismo)

LA TRILOGIA TRAGICOMICA di Alberto Mario Moriconi. Per riscoprire il primo percorso dell'autore, scomparso di recente

A un anno dalla morte di Alberto Mario Moriconi, la casa editrice Pironti, pubblica una trilogia dell'autore, considerato tra i maggiori del Novecento. "La trilogia tragicomica" - questo il titolo - è costituita da “Dibattito su amore” (1969), “Un carico di mercurio” (1975) e “Decreto sui duelli” (1982), editi da Laterza e ormai da tempo esauriti, ma è arricchita pure da numerosi inediti. Pironti ci permette così di gustare il primo percorso poetico di un grande autore, considerato “uno dei quattro, cinque maggiori del secolo scorso” (Paolo Ruffilli), “il poeta più originale del nostro Novecento” (Claudio Toscani), che “sfugge a ogni possibilità di inquadramento nel panorama della poesia novecentesca” (Elio Gioanola), la cui “sperimentazione di grande originalità nel panorama del nostro Novecento non ha molti esempi che le si possano avvicinare” (Giorgio Patrizi), e il cui linguaggio “ridefinisce i confini del genere "poesia"” (Niva Lorenzini).
"La trilogia moriconiana è una grandiosa mise en scène, tragica e comica, con stupende invenzioni contenutistiche e formali, con vicende "esemplari" e personaggi-simbolo, di ogni tempo, d'ogni luogo, d'ogni genere, illustri e anonimi, della fantasia e della realtà: fra cui e su cui trascorre assiduo il grido e il gemito di Alberto Mario personaggio, che rimpiange o deplora, svela, ammonisce ed esorta, non risparmiando se stesso."
Io Moriconi l'ho conosciuto, quando mi accolse in casa sua, giovane studentessa che sperimentava una tesi di laurea su di lui. Lo ricordo fine e attento, così paziente durante l'intervista, così disponibile. Corro a cercare tra gli scaffali della libreria i testi che lui stesso mi regalò, le sue foto, i ritagli di giornale, la mia tesi rilegata in pelle blu, di cui andavo fiera e che mi portò al raggiungimento del massimo dei voti...Corro a cercare emozioni e ricordi.
Rileggo qualcosa e ritrovo una poesia che tocca l’anima. Come questa dedicata alla donna amata, “Pianto perenne”, in cui il Poeta esprime l’angoscia di veder non tanto invecchiare se stessi, quanto di veder invecchiare chi si ama: “Io non rassegno gli occhi alle tue prime rughe; non rassegno le dita al tuo appassire lene, il sorriso tenero alla Beltà arrendevole, fuggente. Io non rassegno il pensiero a che il suo fulgore Dio disperda prima assai di tant’orrore che s’abbarbica al volto del Suo regno.” - C’è una poesia, una musica, una pittura che toccano i sensi per un mero e dilettoso impressionismo – diceva il Flora - L’arte come poesia, musica, pittura, nasce veramente quando il senso è mutato in una immagine spirituale. - Su questa linea è da interpretare l’itinerario (umano e poetico) del Moriconi, che, dalla concretezza delle sue esperienze di vita e di cultura, fa scaturire figurazioni che si tessono con liricità di sintassi, in un compiuto discorso poetico: legato alla realtà del presente e aperto alle sollecitazioni future. Anche il Moriconi, come ogni altro essere umano, in particolari momenti dell’esistenza, ha sfiorato i precipizi, ma non ha ceduto alla disperazione. La sua vitalità, intesa come vocazione e fede umana, è giunta sempre propizia. E questa vocazione e fede umana gli ha consentito di non iscrivere la sua poesia nel circolo vizioso della forma per la forma, ma di rappresentare, nel loro moto, non nel loro giudizio, tutti gli aspetti dell’uomo. Anche per la poesia del Moriconi è valida l’affermazione del Croce: “Se la poesia è intuizione ed espressione, unità d’immagine e di suono, qual è la materia che prende forma di immagine e di suono? E’ tutto l’uomo che pensa, che vuole, che ama e odia, che è forte e debole, sublime e miserabile, buono e cattivo, nella gioia e nell’ affanno del vivere; e, con l’uomo, identico con l’uomo, tutto l’universo nel perpetuo travaglio del suo divenire” “Ergono al cielo loro torri mobili,/parlano stessa lingua e non s’intendono./Vogliono ricadere accanto a Dio” . Così scrive il Moriconi e i suoi versi talvolta (come in “Vivace ossario” o in “Due dita” ) richiamano quelli più famosi di Salvatore Quasimodo: - “Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera.” L’uomo, pur vivendo in una comunità in costante manifestazione d’assieme, è solo, con il bisogno disperato di comunione: il raggio di sole che lo trafigge esprime la necessità di comunione e la possanza del dolore. Ma incombe la sera della incomunicabilità. Non bisogna dunque conquistare lo spazio; bisogna conquistare noi stessi, per poter parlare la stessa lingua e comprendersi. Soltanto così le “Torri mobili” (ovvero i satelliti che spiano dall’alto la terra; i missili interplanetari che si avventurano nello spazio ecc.) acquisteranno significazione umana e non crolleranno come la biblica torre di Babele. E c’è una costante in Moriconi: il bisogno di ritrovare l’amore, anche come fraternità nel dolore, perché è tragico “stare solo sul cuor della terra”. E quanto più si è in alto, sulla cima desolata e l’abisso di fronte, tanto maggiormente si avverte pungente il bisogno di una mano amica: ”Da' la mano a chi casca, e a chi s’alza, a chi sale pure: e fili aereo su erta fiorita: troverà brulla cima, deserta la vita, sé alto in nulla (così oscillò in culla) E tu dagli la mano prima: la sdegnerà: poi… Poi quella dura fronte, cera madida, bisognerà di due tremule dita.” (Due dita) Uno dei componimenti più toccanti del Moriconi è “La ballata del guano” ( struttura moderna con sfumate reminiscenze di lontani componimenti): la poesia è tale se è mediata, ed in questa ballata il risentimento si è mediato nell’ironia: ”E l’uccello spruzzò il guano nel cappello al peruviano e l’occhietto strizza del culino, sprizza e ride il cormorano.” Il guano, concime costituito da escrementi di uccelli marini, i cormorani, è ammassato sulle isolette rocciose del Perù e del Cile. Raccolto dagli indios e dai meticci, viene esportato e costituisce quasi l’unica fonte di ricchezza per lo stato. E mentre gli indios e i meticci muoiono di tubercolosi e di dissenteria, il cormorano, sacro perché produttore di uno sterco che diventa oro, è lì, divinità intoccabile. La figura dell’adolescente bianco, che muore di dissenteria, è di una tragicità impressionante: steso sullo sterco, il giovane si fonderà con esso, originando altro guano. Questa ballata ci ricorda Neruda che in “Canto generale” rappresenta il bellissimo volo del cormorano, ma poi ferma la sua sensibilità dolente sulla fatica umana della sua gente, una fatica senza riscatto perché è l’uomo che “fruga sterco con le mani cieche” e “raspa la chiarezza dell’escremento…/ e si prosterna in mezzo alle isole/ della fermentazione, come uno schiavo, /salutando le acide riviere/ che incoronano gli uccelli preclari.” Il tema della morte è presente anche nel poemetto “Ape regina”. Il Moriconi ci riporta nell’alveare, dove, dopo il volo nuziale, il maschio mutilato precipita morto, l’ape regina continua a rinnovare la vita, e le api operaie, destinate a perpetua verginità, inseguono ed uccidono gli altri fuchi. L’intimo significato di questa rappresentazione, che è antica come il mondo, vuole affermare il perenne passaggio, vegetale, animale ed umano, della vita nella morte e della morte nella vita. Ed in questo passaggio vi è un punto fermo: l’amore. “Ape regina, Amore : un punto d’oro nell’alto azzurro, una chimera inseguita da un’orda ridente di morituri… e uno uno si è aggiunto alla regina in caldo fuggitiva.” E Francesco Flora, nel “Canto dell’eterno”, scrive: “Tutto muore, per vivere, ogni istante. Ogni cosa è immortale perché muore ne l’attimo e rinasce”. E allora, a buon ragione ha detto di lui Enzo Striano: “….Moriconi è anche ‘maìtre à penser’, come possono e devono esserlo i veri poeti.”
(Sonia D'Alessio 3-4-2011, Facebook)

GROTTA DI MARE

Catene non cerco
Soprusi non sopporto
Tranquilla vado per il sereno cielo
Pieno di canti luminosi e tersi.
Il sogno e l’amore mi porto in grembo
E mi dirigo al porto.
Azzurra è la stoffa del mio veliero
Alto l’albero che vuol sfiorare cielo
L’onda mi porta in compagnia del vento
La rotta batte un viaggio lento
Nel mondo mio sommerso:
il passaggio nel buio della grotta
il ritorno al mattino splendente
io, libera e fremente.


Sonia 20-11-11

lunedì 30 luglio 2012

IL PICCOLO PRINCIPE, UN INVITO A RIFLETTERE

“Il piccolo principe”, di Antoine de Saint-Exupery, è un libro che invita a riflettere, risveglia la mente e il cuore assopiti, specie se lo si legge insieme grandi e piccini. Uno scritto da scandagliare come un sub che esplora i fondali marini e ogni volta vi scopre nuove e infinite ricchezze. Un’opera senza tempo e per tutte le età, un capolavoro di poesia e di saggezza. Nello snodarsi di tante parabole, sono molte le tematiche che il testo propone: la ricchezza (L’uomo d’ affari), l’illusione del potere (il Re), la vanità (il Vanitoso), la viltà (L’ubriacone), gli affetti (la Volpe), la morte corporale (“…sarà una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze.”). Le tante facce del prisma della vita. E forse il senso di vivere sta nel godersi le cose più semplici. Ma perché, dobbiamo per forza “riempire” il tempo, magari inseguendo chimere…: la ricchezza, la bellezza, i vizi? Il piccolo principe ci insegna che a chi mantiene intatta la capacità di emozionarsi, quel mondo incontaminato dell’infanzia, può bastare anche solo godersi un tramonto in solitudine. Ma il senso della vita è forse soprattutto nel prendersi cura di chi è più fragile (la Rosa), è nel coltivare i rapporti affettivi (la Volpe), è nel guardare alle cose con l’immaginazione e il cuore: “L’essenziale è invisibile agli occhi…non si vede che col cuore” dirà la volpe. E allora: “Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere…Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane…” Il piccolo principe è la divina poesia che è in ognuno di noi. Attenzione dunque ai baobab: le cose mastodontiche possono cancellare la preziosità di quelle semplici, come il nostro piccolo mondo. Ma forse i baobab rappresentano soprattutto il pericolo di “crescere” irrimediabilmente, l’età adulta capace di spegnere la visione poetica del mondo….chissà… E’ bene che ci rifletta ancora un po’, magari una nuova lettura dell’opera di Pizzicalaluna – questo il soprannome dell’autore per il suo naso che puntava verso l’alto – potrà aprire nuove porte al mio pensare, al mio riflettere, al mio arricchirmi. Grazie, piccolo principe.

SHAKERARE..SHAKERARE...

Shakerare, shakerare. Mescolare il mazzo delle carte, stavolta voglio vincere il banco. Agitare i numeri per un altro giro di tombola. Rimestare, amalgamare, frullare, miscelare. Frammischiare. Girare il caffè perché, come diceva un’antica canzone, il dolce forse è finito sotto e io tanto devo girare che in bocca mi deve finire. Capovolgere il caleidoscopio per una nuova combinazione di forme e colori. Ricominciare. Rimpastare, la prossima ciambella avrà un buco perfetto. Riprovare, crederci ancora. Riordinare. Rigovernare. Voglio un altro giro sui calcinculo, stavolta il nastro lo vinco io. Ridipingere, riprovare i colori. Guardare ancora le stelle, qualcuna cadrà per me. Desiderare ancora. Amare sempre.
sonia

SCONOSCIUTO ETERNO AMORE

A te un soffio di zagara
un aroma di mirtillo
il respiro di un fiore.
A te un alito di vita
di fiaba
d’amore.
…e l’aurora dei miei sogni
…e quel tenero palpito
che giace
infinito nel mio cuore.
A te quella carezza
che straripa dalle mie mani a sera.
A te il mio desiderio timido
aquilone
che non trova il vento.
A te il mio sorriso,
a te il mio amore bozzolo,
farfalla al buio,
seme interrato.
Perché t’amo ancor prima d’incontrarti,
sconosciuto eterno amore.
Perché
so – già so – che ci
sei.
Oltre ogni valico
Ogni confine
Oltre il giorno che muore



sonia

LA PACE NEL CUORE

Io ho la fortuna di avere la gioia nel cuore. Per me è come una fiammella. Sto sempre attenta a proteggere questo piccolo fuoco che riscalda, a fare in modo che niente e nessuno me lo spenga mai..e mi piace farne dono ogni giorno... Non conta avere soldi, bellezza, intelligenza. Ma questa piccola fiammella da donare. E se qualcuno mi ferisce, alzo le spalle e mi dico che l'umana natura è imperfetta e fragile: un soffio non spegnerà la mia fiammella...

sabato 28 luglio 2012

CHI SONO - Curriculum vitae in chiave creativa





Dove sono nata io, ci sono le ceneri del Vesuvio, e forse è per questo che la gente ha un cuore caldo come quello del vulcano. Ci sono le macerie del terremoto, che mi hanno insegnato che la vita pure se la ricostruisci resta sempre un po’ in disordine. Ma vale la pena anche così. E il fango dell’alluvione del ‘98, a ricordarmi che la natura va rispettata. Qui nasce il fiume più inquinato d’Europa, ma un “bambino” non è sporco, lo diventa dopo.

Ho amato da sempre la comunicazione: verbale, non verbale, scritta, orale, iconica…

Ai bimbi delle Materne ho insegnato ad allacciarsi le scarpe: e non è poco: senza quelle non si va molto lontano. E che il mondo lo puoi inventare con il pongo, coi colori a dita, le costruzioni. Con il cielo giallo, il sole blu, il prato rosso. Come ti pare. A quelli delle Elementari li ho istruiti a montare e smontare le parole, anche così si può inventare il mondo. Ho insegnato loro a parlare di sé con fiducia e ad ascoltare gli altri parlar di sé, con rispetto. A leggere per viaggiare senza pagare alcun biglietto. A quelli delle Medie, ora, provo ad instillare l’amore per la scuola, perché qualcuno fa il contrario e a me, e a quelli che ci credono ancora, tocca remare contro e fare doppia fatica. Provo a spiegare che il futuro c’è, eccome. E non bisogna mai smettere di fare sogni solo perché si è grandi; ma colorarsi un cielo giallo, un sole blu, un prato rosso, ché la libertà non ce la toglie nessuno se noi non vogliamo.

E io cos’ho imparato dopo tanti insegnamenti saccenti? A dubitare di quello che dico, e che in fondo la strada ognuno la trova da sé e non è mai la stessa per tutti.

Ai miei figli ho spiegato che ho ancora tutto da imparare ma che è bello rimboccarsi le maniche, e magari farlo insieme.

Cosa voglio fare da grande? La contadina di parole, però quelle bio, che non offendono il mondo. Seminarle, curarle…e aspettare che maturino…in un prato rosso amore.