Il signor Marvin si era alzato
molto presto quel giorno, giacché doveva finire gli ultimi lavori e consegnarli
prima del cenone di Natale. Era un ciabattino, Auguste Marvin. Viveva in un
piccolo sobborgo londinese dove aveva un’unica stanzetta: casa e bottega. Più
che di una casetta si trattava di una cantina sottoposta al livello della
strada. I muri così umidi, coperti di muffe verdi. L’intonaco scrostato in
molti punti, tanto che potevi intravedere i mattoni. Nell’aria, un pungente
odore di colla, di cromatine, di pellami. Un odore che ti manteneva sveglio ma
intontito.
Non era la vigilia di Natale per
Marvin. Era un giorno qualsiasi. Niente cenone, niente riunioni familiari né
pacchetti-regalo né passeggiate tra i negozi. Era un giorno lavorativo e basta.
Eppure quella mattina c’era anche
odore di Natale. Si spandeva mite per i vicoli, insieme alle note di una
fisarmonica che qualcuno suonava. Ogni tanto il calzolaio sentiva persino il
rumore di una moneta lanciata da qualche passante in segno di gradimento. Dalla
finestrella a lume ingrediente, poteva riconoscere il Natale dal passo della
gente: andavano tutti di corsa. Un corteo di scarpe. E il ciabattino le
conosceva tutte: il farmacista era appena passato, con i suoi mezzi stivaletti
di lucido nero. Marvin glieli aveva riparati già due volte. La portiera del
palazzo di fronte, signora Rosa, aveva attraversato la strada con le sue
ballerine larghe come barche e il cane volpino al guinzaglio. L’orologiaio del
vicolo di fronte, il signor Hellington, camminava strascicando il passo, con le
polacchine di camoscio color cammello. Tutti correvano carichi di pacchetti.
Dalla finestrella Marvin poteva
vedere pure due bidoni della mondezza. Il professor Land era andato già tre
volte vicino alle due pattumiere: fingeva di buttare qualcosa ma ormai erano
mesi, da quando sua moglie aveva voluto il divorzio, che lui cercava oggetti
nei rifiuti.
Marvin tossì. L’aria umida non
gli faceva di certo bene.
Guardò il suo albero in un
angolo: glielo aveva portato la sera innanzi un certo signor Wolfe. Doveva
essere polacco, dai tratti somatici. O giù di lì. Gli occhi immobili di un
celeste freddo, la barba puntinata di grigio, un cappello di lana fin su alle
sopracciglia, i piedi scalzi coperti con due buste di plastica. Aveva mostrato
un biglietto, con su scritto con grafia elementare: “Sono muto. Non ho soldi.
Possiedo però un abete bellissimo. Permettetemi di pagare con quello…”
Anche senza soldi, Marvin lo
avrebbe accontentato, era un brav’uomo. Si trattava di rifare le suole a un paio di stivali di cuoio rosso,
completamente bucati sotto la pianta e senza tacco.
“Io me li ricordo questi cosi” aveva
detto tra sé il ciabattino, osservandoli. “Li ho visti accanto al cassonetto
dell’immondizia, ieri!”
Avevano un’aria così vissuta! Li
aveva presi in consegna e non aveva detto nulla. Il polacco era ritornato dopo
un’ora con un abete di media grandezza, tutto spennacchiato. Anche quello
Marvin aveva riconosciuto: lo aveva visto la sera prima nel punto-rifiuti. Il ciabattino aveva passato tutta la serata
ad addobbarlo appendendoci scarpe: tutto ciò che possedeva.
Ora non era solo, aveva un albero
bellissimo a fargli compagnia. Con scarpette che ciondolavano dai lacci
annodati ai rami.
Il Nostro passò tutta la mattinata
a lavorare agli stivali rossi; poi, finita l’opera, si stese su un piccolo
pagliericcio a riposare e a cercare di calmare la fame.
Nel primo pomeriggio, arrivò il
muto a ritirare gli stivali. Si tolse le buste di plastica che aveva, scoprendo
due piedi infestati di piaghe e geloni. Si provò gli stivali. Sorrise con
orgoglio: perfetti! Stese la mano al calzolaio, in segno di ringraziamento, e
uscì in strada.
Marvin l‘osservò dalla
finestrella. Camminava timidamente sotto il muro. Poi fu colpito dalla visione
di due bambini che frugavano tra l’immondizia. Quello piccolo, vestito assai
malamente, aveva trovato una scatoletta di pesce aperta: la leccò affamato. Ma
non conteneva più nulla, era solo sporca di tonno. L’altro, assai lungo e con i
capelli rossi, trovò una coscia di coniglio morsicata.
Marvin si ricordò che pure lui
non aveva ancora toccato cibo. Sentiva un certo languorino allo stomaco. Così,
allontanatisi i fanciulli, uscì alla chetichella e raggiunse i due bidoni
dell’immondizia, situati proprio di fronte alla sua bottega. Frugò, non c’era
proprio nulla. Poi fu colpito da una pallina di Natale, rotta. Era rossa, con
uno smile disegnato in una espressione di tristezza. Marvin cominciò a frugare
con maggior entusiasmo: avrebbe trovato il pezzo mancante e lo avrebbe incollato.
E infatti la cosa andò così. E la pallina riparata fu appesa all’albero,
insieme alle scarpe.
Era la notte del Bambinello e nel
castello di Mago Merlino erano stati invitati tutti i maghi e le fate che
esistono, per una tavola rotonda sul tema della povertà. Merlino aveva un
progetto da presentare ai colleghi. Aveva invitato anche Babbo Natale e la
Befana, iscritti pure loro all’albo mondiale dei maghi, da quando di recente
era stata data loro la laurea ad honorem in scienze occulte e sortilegi.
<<Propongo di donare un po’
di polvere fatata o un tocco di bacchetta o di versare qualche filtro magico su
tutti i cumuli d’immondizia delle grandi città. Per un giorno ci priveremo dei
nostri poteri magici per trasferirli alle discariche, unico luogo frequentato
dai poveri. Voglio che il giorno di Natale sia memorabile specialmente per gli
amici meno fortunati.>>
L’idea era piaciuta a tutti, tranne che a
Peretilla, nipote di primo grado della Befana, in quanto figlia di sua sorella
Afàna, neolaureata in ingegneria del maleficio e del malocchio, ma ancora
sprovvista dell’abilitazione alla professione malense. Peretilla, doveva il suo
nome al rumore simile a una scorreggia che faceva la sua scopa volante quando
entrava in azione. Merito di suo cugino Malù, che le aveva truccato il motore,
utilizzando pezzi di un noto aspirapolvere e pulisci-materasso tedesco.
<<Non se ne parla proprio>> aveva squittito la ragazza. <<Attendo l’abilitazione
proprio per oggi. Ho superato il concorso per titoli ed esami; sono stata per
anni in graduatoria a fare la precaria con mille piccole supplenzine, e ora che
finalmente mi si darà la patente per la navigazione aerea su scopa volante, ora
che mi si attiveranno i poteri… dovrei trasferirli ai rifiuti? Non intendo
cominciare la mia carriera regalando i mezzi magici agli straccioni! Ho altre
ambizioni per il mio futuro!>>
E così aveva abbandonato la
seduta, dietro lo stupore generale.
Manca poco alla mezzanotte, dieci
minuti. Marvin è andato a dormire digiuno, ma non riesce a prender sonno dalla
fame. Di colpo, si leva dal letto, ha sentito una musica bellissima. Mette la
sedia sotto la finestrella e ci sale per vedere meglio la strada. È il polacco
muto: sta ballando sui suoi stivali ballerini una polka scatenata: sono stivali
magici. Non sembra timido né muto né povero. Ma solo un ballerino felice,
circondato da spettatori. I suoi abiti d’argento scintillano sotto la luna.
C’è il bimbo di colore che
osserva il balletto: regge in braccio un magnifico coniglio bianco come se
fosse suo figlio. L’altro invece gusta pesce da una enorme scatola di latta che
potrebbe sfamare un esercito, dato che il cibo non finisce mai, ma ricresce
all’istante.
Cinque minuti alla mezzanotte. Di
colpo, nel cielo sfreccia una scopa spernacchiante. Peretilla, urlando come un’ossessa,
lascia cadere sulla strada polvere di carbon di zucchero nero. Il ballerino
perde il baricentro e casca. Il coniglio ridiventa una coscetta morsicata, la
scatola di latta si rimpicciolisce e ritorna vuota...
Ma Merlino è giunto, a bordo
della scopa volante insieme alla Befana. Tre minuti alla mezzanotte.
Sulla slitta di Babbo Natale,
trainata dalle renne, ci sono pure la fata Smemorina, Maga Magò, la Fata
Turchina.
Dal cielo cade una polvere fatata. È una nevicata d’oro e d’argento. La
mezzanotte suona, ma non è Natale. Non ancora. Il Bambinello attende per
nascere.
Merlino punta il dito, da cui
parte un potentissimo fulmine: Peretilla viene risucchiata finendo imprigionata
nella pallina di cristallo rossa.
Marvin si volta a guardare il suo
albero: le scarpe si sono trasformate in salami, formaggi, torroni e
cioccolate. La pallina ha allargato la bocca in una faccina di sorriso. Fuori,
il muto ha ripreso a ballare la polka.
È Natale. Mezzanotte e un minuto: Gesù è nato ora!