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venerdì 10 febbraio 2017

UNA STORIA DI CARNEVALE





Il carrozzone si è appena fermato. È notte e Mangiafuoco vuole riposare. Si affaccia ma non vede granché. È un campo brullo e desolato quello in cui stazionano. Che freddo!
-          - Soldino! – tuona con voce possente chiamando il suo assistente.
-        -   Comandi, padrone! – fa il piccolo tutto spaventato. Ha riconosciuto, nella voce del padrone, quel filo di asprezza che ben conosce. Si sta per abbattere su di lui qualche sciagura. Lo sente.
-          - Ho freddo.
-         - Mi spiace messere illustrissimo.
-        -   Accendi il fuoco! Fai un bel falò, voglio scaldarmi!
-      -     E con cosa, signor commendatore egregio pregiatissimo.
 Soldino rincara la dose dei suoi epìteti per addolcire il carattere del padrone. E’ un bimbo piccolo, Soldino. Un bimbo che qualcuno un giorno ha abbandonato allo spettacolo delle marionette. Lo ha trovato lì, Mangiafuoco, su una sedia; applaudiva. Sono passati già cinque anni. Ora potrà avere sì e no 7-8 anni. È insaccato in una giacca più grande di lui; i pantaloni invece sono piccolissimi; gli lasciano scoperte due sottili caviglie. Anche Soldino ha un freddo boia; si tira su le calze di lana sfilate e bucate; si copre gli orecchi con la coppola scozzese. Alita sulle manine gelate e poi le batte tra loro: sembra quasi che il sangue non circoli.
-          - Con la legna, citrulo!
-         -  Ma non abbiamo più nemmeno un ciocco, eccellenza signor cavaliere.
-        -    Con… con… con… Arlecchino! Ecco, sì, prendi Arlecchino.
-        -   Ohhhhhh! – un brusio si leva nell’aria di neve: i burattini tremano di freddo e di paura. Riuscirà il loro amico Soldino a tirarli fuori d’impiccio?
-          - Arlecchino? Ma …. – ribatte Soldino, cercando un appiglio, una scusa per salvare il suo amico Arlecchino, cui vuole un bene infinito. Il suo compagno di giochi e di avventure… - Ma… Forse, padrone, lei non conosce la storia di Arlecchino! Fa piangere. Fa veramente piangere, sigh!
E comincia a singhiozzare.
Mangiafuoco ama le storie strappalacrime. Si tira una coperta sulla lunghissima barba e sospira:
-          - Forza, racconta. Non conosco la storia di quel demente; so solo che pensa sempre a ridere, a fare frizzi e lazzi, piroette e inchini, a litigare con Pulcinella, a fare il cascamorto con Rosaura. Ma se la storia non è come dico io, brucerò Arlecchino e ci aggiungerò pure i giornali che tieni nascosti sotto la giacca. Li ho visti, sai? Buono a nulla di un Soldino!
Dunque Soldino inizia.
-          Era tempo di Carnevale. Il lunedì prima. Arlecchino se ne stava in un angolino tutto infreddolito. Eh, sì, padrone mio, anche Arlecchino aveva freddo. Guardava il braciere spento. Che freddo in quell’umida stanzetta in cui abitava! E aveva pure fame. Era tornato da poco dall’aver fatto un giro per la città. Aveva incrociato un gruppo di burattini mascherati da bambini, intenti a provare una quadriglia. Sì, insomma, un ballo per accompagnare il corteo carnascialesco dell’indomani. Alcuni indossavano già l’abito. Due si erano mascherati da Bacco e Arianna, c’era Sileno su un asino, un gruppo di baccanti, di satiri e di ninfe.
Arlecchino li guardava a bocca aperta e occhi spalancati. È triste non potersi unire alla festa, pensava il piccino. Ma lui e la madre… erano molto poveri.
-         - Etcì – starnutisce Mangiafuoco, che ha cominciato a commuoversi.
-          Ora Arlecchino si guardava attorno, ma non possedeva nulla. Nulla da mangiare. Nulla per riscaldarsi. Nulla per vestirsi. La chiave nella toppa lo fece trasalire. Era Ellequin, sua madre, una bambola poverissima, tutta vestita di nero. Di mestiere faceva la bambola della Quaresima; per tutti era Quarantana. Lavorava solo 40 giorni all’anno; i quaranta giorni che vanno da dopo Carnevale alla Pasqua. Nel resto dell’anno si arrangiava come sartina e tessitrice. Ma era davvero assai poco il lavoro. Nel mercoledì delle Ceneri, veniva messa appesa nei vicoli con un filo da un balcone a un altro. Reggeva in mano un fuso e una conocchia e aveva sotto la gonna un’arancia o una patata, con 7 piume conficcate dentro: i cittadini ne avrebbero tolta una alla settimana, ogni domenica, per contare il tempo che li divideva dalla Pasqua. Sei piume nere e l’ultima, quella della domenica di Pasqua, bianca. Ellequin era la Quaresima: la miseria nera nera! Quella sera era stata negli Inferi, a guidare la rivolta delle bambole. Ma anche la sua attività sindacale nel regno dei morti non le dava soddisfazioni.
La bambola si abbracciò il suo figliolo per tenergli caldo. Gli dette un pezzetto di pane duro che la serva  di Pantalone le aveva donato. E lei se ne stette digiuna.
-        -   Etcì! – starnutisce ancora il burattinaio – continua, Soldino. Come finisce questa terribile storia?
-          Di colpo bussarono alla porta. Erano gli amici di scuola di Arlecchino: ognuno con un pezzetto di stoffa: <<Arlecchino, vieni con noi, è Carnevale!>>. Così Ellequin cucì insieme gli scampoli di stoffa colorati. Gli amici, con della mollica di pane fecero un magnifico cappello per Arlecchino. Il suo era il vestito più bello.  Lui  fu felice: esisteva nientepopodimeno che… la bontà!>>
Etcì etcì etcì. Mangiafuoco non la smette di starnutire…


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